di Anna Bagiante


 

Paolo Vagliasindi nasce nel 1838 a Randazzo. Appassionato d’arte, d’antichità classica e uomo di infinita generosità.
Per merito suo, infatti, è possibile il riscatto del Convento dei Cappuccini donato da lui stesso ai Frati, dopo che nel 1866 era stato incamerato dallo Stato, a seguito delle leggi per le corporazioni religiose. Ma il suo nome è legato alla città per un altro accaduto molto fortunato e un po’ leggendario. Tutto inizia, quando una contadina lavorando nel feudo di S. Anastasia (che si trova nella pianura ai piedi dell’Etna e si estende verso l’Alcantara presso il paese di Mojo), proprietà del Vagliasindi a circa 6 km da Randazzo, trova casualmente un piccolo oggetto d’oreficeria, che consegna al proprietario della terra. Paolo, capendone l’origine, inizia una prima serie di scavi. Diffusasi la notizia, la Direzione delle Antichità di Palermo prende contatti con il Vagliasindi e da allora sono condotte regolari campagne di scavi nel territorio di S. Anastasia e Mischi, dirette nel 1889 da Salinas, che vede poco a poco emergere una vera e propria necropoli, identificata come Tissa e citata da Cicerone nelle Verrine.
Vent’anni dopo Paolo Orsi fa ulteriori scavi con i quali vengono alla luce altre tombe e corredi funebri, monete, vasi greci e di produzione corinzia, anfore, utensili, gioielli, statuette, hydrie, reperti di produzione ionica, ceramiche di produzione attica risalenti al V sec. a.C. e stamnoi, pissidi, lekani del IV secolo.
Come per legge, alcuni oggetti vengono ceduti al Museo Nazionale di Palermo e a quello Archeologico di Siracusa.
Paolo Vagliasindi rifiuta ogni offerta ricevuta per vendere la collezione, soprattutto per la cessione del bellissimo e raro oinochoe, vaso per la mescita del vino in terracotta, con figure rosse su sfondo nero e raffigurante il mito di Fineo e le Arpie. Il Vagliasindi vuole fortemente che la collezione da lui ritrovata resti a Randazzo e così al prezioso tesoro destina una sala del suo palazzo, rendendola pubblica ai visitatori.
Nel 1904 la collezione Vagliasindi è esaminata di nuovo e catalogata dal Museo Nazionale di Roma.
Alla morte di Paolo Vagliasindi, nel 1913, la collezione rimane al figlio Vincenzo, ma è seriamente danneggiata dai bombardamenti del 1943 che distruggono quasi il palazzo; molti pezzi vengono distrutti o rubati. Tutta la refurtiva è recuperata con la sola perdita di un “helikes”in lamina aurea a testa d’ariete e di qualche moneta; alcuni pezzi vengono recuperati dalle macerie dai Padri Cappuccini del vicino convento.
Negli anni ’60 la collezione è esposta in una sede provvisoria presso la Casa di riposo di Randazzo. Solo nel 1997, quando gli eredi affidano il museo all’Amministrazione Comunale, i pezzi vengono catalogati e restaurati, ma quelli distrutti dai bombardamenti mai rimessi a nuovo. I pezzi interi e d’inestimabile valore trovano finalmente dimora nel Castello Svevo (costruito per volere di Federico II di Svevia) presso il quartiere di S. Martino.
A Paolo Vagliasindi si deve una collezione antica, lasciata e custodita a Randazzo per le generazioni future che ne raffigura importanti eventi storici e ne racconta antiche origini.